Presentazione monumento casa Natale

monumento casa Natale S. Luigi Guanella

GRUPPO MONUMENTALE ANTISTANTE LA CASA NATALE DI
S.   LUIGI GUANELLA

 IN FRACISCIO DI CAMPODOLCINO (SO)

 
PRESENTAZIONE
 

Il monumentoIl gruppo monumentale di Fraciscio di Campodolcino (So) prende spunto dall’episodio, narrato nella biografia del piccolo Luigi Guanella, del gioco di preparazione della minestra per i poveri, svolto con la sorellina Caterina. Un gioco singolare che, visto a distanza, ha il fascino della profezia riguardo al carisma dell’opera del Beato e delle famiglie guanelliane.

 

Al centro della composizione sono rappresentati i due bimbi intenti a mescolare in piccole ciotole terra ed acqua, ai loro occhi gustosa minestra.

Luigino bimbo vispo ed audace, con foga mentre mescola, si rivolge alla sorellina con la frase riportata nel pannello di destra: «Quando saremo grandi, faremo così la minestra per i poveri», e, quasi a rendere visibili i futuri ospiti, con la mano destra indica all’osservatore l’affollato gruppo di bisognosi rappresentato nel pannello alle sue spalle.

Caterina legata al fratello da affinità di sentimenti religiosi e umana sensibilità, attonita e sorpresa, si chiude nelle sue spallucce, trattenendosi per un attimo dal mescolare terra ed acqua. Improvvisamente ha intuito il valore del gioco e scruta il fratellino, cercando di cogliere dal suo sguardo quanto egli immagina ed è visivamente riportato nel pannello.

 

I genitori assistono al gioco dei bimbi, a rimarcare la fondamentale importanza dell’educazione da loro impartita: mai questo gioco sarebbe stato pensato se i due figli non avessero visto compiere analoghi gesti di carità in famiglia!

 I coniugi sono rappresentati nella loro fresca maturità, nell’atto di affacciarsi all’ideale ingresso del recinto costituito dai due bassorilievi che chiudono a semicerchio l’area verde del complesso monumentale. La mancanza d’interferenza con il gruppo dei bimbi, suggerita dalla discrezione di non interrompere il loro divertimento e dal desiderio di assaporare la magia di quel momento, sottolinea il rapporto equilibrato esistente nel gruppo, dettato dai valori cristiani e dal rispetto dei reciproci ruoli.

Pa’ Lorenzo ritratto nell’abbigliamento di chiaro gusto ottocentesco dell’unica istantanea giunta fino a noi, è non solo la figura dell’autentico montanaro dedito alla cura della sua numerosa famiglia e al lavoro delle proprie terre, ma anche la persona autorevole e stimata dalla sua comunità per il buon senso, la sobrietà e l’integrità morale, che gli valsero per complessivi ventiquattro anni le cariche di primo deputato sotto il governo austriaco e successivamente di sindaco di Campodolcino sotto il governo italiano.

Ancora in movimento, egli appare bloccato dall’improvviso sostare della moglie, alla quale si accosta con intento protettivo, cingendola alle spalle con il braccio destro, quasi emozionato alla vista del particolare divertimento dei figli, che indica alla donna con un gesto discreto della mano. Il volto bonario tradisce il compiacimento di quanto sta osservando, intuendo l’intimo significato del gioco.

Mamma Maria donna semplice, affettuosa madre di tredici figli, capace di parole soppesate e opportune, è presentata negli abiti indossati nell’unica istantanea esistente, che nella loro compostezza, conferiscono alla sua figura una sorta di nobiltà.

Ferma sulla soglia, con il capo lievemente reclinato a sinistra, si appoggia lievemente al fianco del marito in una dolce pausa meditativa, con le mani intrecciate abbandonate sotto il grembo e le palme rivolte verso il basso. Dall’espressione compiaciuta del volto, dagli occhi socchiusi e dal lieve sorriso, si avverte che la mente sta vagando lontano, disegnando nebulosamente il possibile avvenire del figlio, suggerito da quanto quel piccolo birbantello sta facendo davanti a lei.

Quel gioco allusivo esprime una singolare carica d’amore che la sua sensibilità di madre avverte pienamente. Che farà quel piccolo impetuoso “figlio della Rabbiosa” (il torrente di Fraciscio) in cui esplode il desiderio di donare e donarsi a tutti ?

 

Mentre il gruppo statuario narra un episodio storicamente documentato ed individua personalità e relazioni fra i vari componenti, i bassorilievi proiettano l’osservatore nella concretizzazione del “gioco profetico”.

 

Nel pannello di destra, in cui è riportata la frase di Luigino: «Quando saremo grandi, faremo così la minestra per i poveri», è espressa simbolicamente l’attuazione della “profezia”.

Don Guanella da adulto, oltre a sfamare personalmente i poveri, ha voluto ampliare e prolungare nel tempo le possibilità di intervento a favore del maggior numero di bisognosi dando vita alle congregazioni delle “Figlie di Santa Maria della Provvidenza” e dei “Servi della Carità”, delle quali Luigino e Caterina assurgono a simbolo.

 “Quando saremo grandi” non va inteso semplicemente come “quando tu Caterina ed io saremo adulti”, ma “quando saremo in molti a farci strumento nelle mani della Provvidenza, per portare la Carità di Cristo nel mondo”:

Ecco quindi ergersi al centro del pannello un albero con radici che hanno origine e prendono nutrimento dagli stemmi delle due congregazioni posti ai lati, spingendosi poi verso l’alto, ossia verso Dio, dal quale le due famiglie attingono la forza, la grazia e lo spirito di carità per operare. I rami dell’albero penetrano una chioma i cui contorni delineano i cinque continenti, a ribadire il motto di don Guanella rivolto ai suoi figli e alle sue figlie: “Tutto il mondo è patria vostra”.

 

Nel pannello di sinistra sono rappresentati i poveri di don Guanella, nelle loro caratteristiche etniche e in alcune loro specifiche difficoltà.

Il povero per don Guanella non è solo l’affamato, ma qualsiasi individuo in stato di necessità. La sua prima Casa in Como ebbe l’affettuoso appellativo di “Arca di Noè”, per la varietà dei bisognosi ospitati. In seguito le Case guanelliane hanno sempre accolto in specifiche strutture: bimbi, studenti e giovani da avviare al lavoro privi della vigilanza dei genitori, altri con problematiche sociali, figli di famiglie povere, vagabondi, abbandonati, malati, anziani, handicappati fisici e mentali (questi ultimi chiamati affettuosamente “buoni figli”), e più recentemente, anche vittime della droga desiderose di riscatto. Ciò è avvenuto perché in ogni persona bisognosa d’aiuto, don Guanella, come ha appreso dalla dottrina della Chiesa e dai suoi genitori, ha visto e ha sempre insegnato a vedere Gesù.

Partendo da sinistra, una madre avvolta nel sari, cerca di contenere il movimento disarticolato della figlia spastica; dietro di lei spiccano un santone nudo e un uomo con turbante a rappresentare l’India.

Subito dopo, la figura di un ragazzo autistico esprime il suo disagio con singolari gesti, volti a proteggersi con le mani il viso e il capo.

Proseguendo verso il centro, un uomo vigoroso cerca di trovare un contatto con l’anziana madre seduta, chiusa in se stessa dalla demenza senile che non le permette relazioni con l’esterno, neppure con le persone più care; la scena, con altre figure sullo sfondo, rappresenta le popolazioni dell’America Latina.

Il ragazzino handicappato con alle spalle la madre avvolta in un gran velo e un anziano con il tipico copricapo arabo, rimanda alla Terra Santa.

Partendo da destra, una donna nera volge lo sguardo ansioso verso il piccolo che porta sulla schiena e accosta a sé il figlio più grandicello, preoccupata di come far fronte al problema della fame; insieme ad un uomo con stampelle e ad un volto di donna sullo sfondo, rappresenta l’Africa.

Proseguendo verso il centro, una giovane implora aiuto per il padre morente, mettendo nel panico il bimbo che si avvinghia al suo grembo e la ragazzina che cerca di portare soccorso coprendo il nonno; il gruppo rappresenta il Sud est asiatico.

Il tema della morte non poteva mancare, identificando don Guanella nel moribondo la persona più povera e sola, impossibilitata a ricevere sollievo da qualsiasi intervento umano. È per questo che, con straordinaria sensibilità, istituì la “Pia Opera del Transito”, affinché dove non ha più senso l’aiuto materiale, intervenga la preghiera.

A capo del moribondo, si affaccia la figura di un anziano che, appoggiandosi al bastone, osserva la scena, consapevole e rassegnato ad un evento che sente ormai prossimo.

Dietro le persone in primo piano si affollano numerose altre figure diverse per sesso ed età, con handicap e non, rappresentanti l’Italia, l’Europa e il Nord America.

Tra esse sono identificabili nella parte centrale, a sinistra, “Marögia”, indubbiamente conosciuto da quanti hanno frequentato la Casa Divina Provvidenza di Como negli anni cinquanta: un anziano che quotidianamente, durante la ricreazione pomeridiana, scendendo dal ricovero, attraversava il cortile dei giochi per portarsi a pregare nel santuario, spesso trattenuto dai ragazzi che amavano fagli ripetere la sua ingarbugliata “Ave Maria”.

A destra, Tino: aiutante di cucina, noto a quanti hanno frequentato il seminario di Anzano del Parco, che chiamava l’autore: “Al fradèl d’Ammara” (Il fratello di Vismara, ossia di Calimero, poi don). Figure che evidenziano l’importanza del contributo affettivo, e di servizio di diversi ricoverati.  

Al centro, fulcro della composizione, a rimarcare il fondamentale concetto della presenza di Gesù nel povero, Cristo nasconde la propria figura dietro quella di un mendicante, accostando il suo volto a quello del povero uomo, creando quasi una simbiosi. Portando le braccia in avanti, regge con la propria, la mano sinistra del mendicante tesa in un pietoso gesto di richiesta e sostituisce con la sua mano destra quella del povero; conferma la sua identità a quanti osservano la strana coppia, mettendo in evidenza la piaga al centro del palmo prodotta dal chiodo nella crocifissione. Un chiaro richiamo alla frase evangelica: “Ogni volta che avete fatto queste cose a uno solo di questi miei fratelli più piccoli, l’avete fatto a me” (Mt 25,40).

Alla sinistra delle due figure centrali è ritratto l’autore bambino, che entrato all’età di cinque anni nella la Casa Divina Provvidenza di Como, è stato uno dei tanti piccoli di don Guanella. È intento a discostare il braccio del mendicante per avvicinare a sé, compreso del mistero, il braccio di Gesù con l’intenzione di osservarne da vicino la piaga della mano, rivelando il suo particolare interesse per il sacro e tutto ciò che lo esprime. Dall’altro lato un bimbo down appoggia il suo volto alla spalla del povero e con gesto affettuoso si stringe alle braccia dei due personaggi centrali.

Le figure dell’autore bambino e del bimbo down suggeriscono con i loro atteggiamenti, due modi con cui accostarsi al povero: rispetto e devozione da una parte, e affetto semplice e spontaneo dall’altra.

 
 

Alfredo Vismara          

Panoramica

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